Un uomo che cammina: i suoi pensieri, i suoi ricordi, le persone che sono intorno a lui, la strada, la pioggia.
E poi un albero: è un ippocastano (aesculus hippocastanum), che sta lì, solenne come una verde cattedrale laica.
Una poesia recente, datata aprile 2017, che ho avuto il piacere di vedere menzionata all’ultima edizione del  Premio Lorenzo Montano.

Aesculus hippocastanum

Dietro l’albero l’ombra (o meglio attorno) a segnare il territorio.
Naturale e significante la corteccia a volte suda.
È un ippocastano: l’uomo lo sa, lo sfiora ogni giorno
nelle sue stanche passeggiate (durante) di passi strascicati
ha frutti che odorano d’imbroglio ma anche benefiche proprietà
un Jack Russell oggi ne ha marcato con rigagnoli il tronco.
L’uomo racimola pensieri osserva le proprie scarpe marroni
che procedono lente e lo stanno portando dove (non sa)
devo mantenere la calma abbandonare l’ipocondria studiare ogni
possibilità valutare ipotesi dimenticare le lacerazioni assecondare il battito
richiamare il cuore sostenere un’idea riscoprire la meraviglia.
Vede la scarpa slacciata (la sinistra) si china toh una nuvola che (guarda)
abbraccia un’altra nuvola poi sistema il laccio riprende il cammino
due isolati più in là arriverò all’edicola (di fronte il caffè, sorride).
E nell’attraversamento incombono sirene le voci (mescolanze)
gli sguardi (sembianze) di chi non guarda e non vede neppure
poi una sciabola di luce che sconquassa la scala dei grigi
l’uomo si siede riannoda rimugina su ecatombi di sentimenti
elenca minuzioso mentalmente ogni piccolo e grande fallimento.
Non cerca le prove non trova giustificazione alcuna nessuna
ha cognizione di colpe e rimorsi (la carta geografica degli errori in cui
è segnato in grassetto il suo nome) ha ricordi di lacrime sparse
(asciugate forse) stempera il dolore nel bicchiere di Sauvignon.
Alle prime gocce di pioggia iniziano (tutti) a correre tranne lui
torna verso casa lentamente ogni pensiero è una pagina spiegazzata
le tempie fanno male chiodi conficcati (avrei bisogno di sdraiarmi)
cammina scalcia una lattina un cagnetto scodinzolante davanti a lui
però bel culo la padrona gonna di tweed e scarpa col tacco
(di sdraiarmi e riposare) schiva l’autobus schiva la pozzanghera.
Sente improvviso salire il sudore (sente il respiro) metallo e ruggine
alito pesante (ieri notte ho sognato Batman e Gandhi) macerazione
sale le scale è in casa un bicchiere d’acqua apre la finestra
l’ippocastano è sempre lì solenne come una verde cattedrale laica
la pioggia lo scalfisce il vento gli fa appena il solletico.
Ogni pensiero è una pagina spiegazzata ogni ricordo è una macchia rossa
l’uomo si siede (fai un bel respiro ora) gli occhi socchiusi il rumore
della pioggia che cade (si rovescia) lava le strade e poi c’è il vento
leggero ogni pagina è un pensiero rivoltato svuota le tasche.
Le chiavi sul tavolo anche domani un’altra sola porta da aprire.

Enea Roversi
(Aprile 2017)